Empatia e Compassione: cosa sono e come allenarle

Di seguito il testo dei prossimi video che spero saranno pubblicati a breve sul Canale Youtube del centro di Psicosintesi di Milano, nella rubrica Diamo la parola a Fiorella.

1. L’EMPATIA

Nello scorso incontro, stavamo parlando della rabbia.
Questa sarà stata certo generata da una situazione difficile.
La rabbia “carica” la nostra fisiologia, siamo pronti per combattere o per fuggire, ma con la disidentificazione abbiamo guadagnato lo spazio di libertà che ci permette di usare questa carica di energia per calmarci, per riflettere e trovare una risposta intelligente alla situazione che mi ha fatto adirare: posso usare questo spazio di libertà, consapevole, non per far del male all’altra persona, ma per difendermi, per fare giustizia, per trovare una soluzione che vada bene ad entrambe le parti che sono in conflitto…
Abbiamo visto oggi un piccolo esempio di quanto può essere utile la disidentificazione.
Ugualmente utile è la consapevolezza delle emozioni, l’essere padroni delle nostre emozioni anziché farci possedere da esse.
Lo stesso è vero per i pensieri, di cui parleremo più avanti.

Oggi parliamo invece di un fenomeno fondamentale: l’Empatia.

Possiamo dire che chi è empatico, chi prova empatia è “buono”, tra virgolette, e chi non è empatico è“cattivo”, sempre tra virgolette. Noi siamo fatti per essere empatici, cioè buoni…
La persona empatica, di fronte a una persona che soffre, sente la sofferenza di questa persona. E non la sente là fuori, come se fosse dell’altro, la sente dentro di sé!
Esistono dei centri nel nostro sistema nervoso, in varie parti del cervello, deputati a questo fenomeno: l’empatia. È un fenomeno involontario. Evidentemente siamo stati fatti così perché l’essere umano è stato creato per vivere in gruppo, per collaborare, per amare.
C’è una magnifica parola creata da un grande maestro, il monaco Tich Nath Hanh: interessere.
Tanta è l’unione tra i nostri cuori e i nostri cervelli, la nostra intelligenza, che noi non siamo: noi intersiamo.
Come mai viviamo così isolati, chiederete voi? Come mai l’egoismo e l’egocentrismo è tanto diffuso? Come mai tanti danneggiano gli altri senza alcun scrupolo?
Perché l’umanità non ha raggiunto il suo pieno sviluppo. Perché l’umanità è immatura: possiamo dire che è malata, anche e forse soprattutto per la mancanza di rispetto e amore che abbiamo per i bambini piccoli e per le madri.
Abbiamo finora parlato di disidentificazione: ora, per introdurci all’empatia, parleremo invece di identificazione!

Cos’è l’empatia?

Cos’è l’empatia? Sentire dentro l’altra persona. Questa è l’empatia: l’antica parola diceva la verità: sento (patio) dentro, davvero “dentro” em –patio l’altra persona. Vediamo in che senso “dentro”: e ce ne stupiremo: perché l’empatia è il legame diretto tra due menti. Accenno qui, per tornarvi più avanti, quanto questo collegamento empatico tra madre e neonato, tra madre e bambino, sia indispensabile, ripeto INDISPENSABILE perché questo nuovo membro ella nostra specie cresca sano.

La scoperta dei neuroni specchio

Negli anni ‘90, un’équipe dell’università di Parma scoprì l’esistenza dei Neuroni Specchio. Si racconta che la scoperta avvenne per caso. Era Estate e un operatore entrò in laboratorio, dove stavano mappando il cervello di una scimmia. Gli elettrodi collegati al cervello della scimmia mostravano quali parti del cervello si “accendessero” quando la scimmia compieva un’azione. L’operatore era entrato nella stanza con un gelato. Ebbene, che meraviglia! Lo schermo mostrò che nel cervello della scimmia si erano attivati i neuroni della zona che si attiva quando si mangia qualcosa di buono!
Da allora tanti studi sono stati fatti su questa scoperta che prova l’unione tra esseri umani – e tra esseri umani e i primati superiori: c’è un collegamento tra cosa si attiva nel cervello di chi è vicino a me, perché nel mio cervello si attiverà la stessa area: se il mio vicino si gratta la fronte, per esempio, il mio cervello attiverà i neuroni che si attivano quando io mi gratto la fronte.
Questi neuroni sono a tutti gli effetti, degli specchi. Io so cosa tu provi, gioia, paura, tristezza, sorpresa, perché lo provo anch’io.
Dice il Vangelo:

Quello che farete agli altri lo fate a voi stessi!

Non era una metafora, ma una verità fisiologica. C’è una battuta che afferma: per far del bene a me stesso, devo fare del bene agli altri… curioso, no?
Ecco, lo spazio di consapevolezza che c’è al nostro Centro, quello che abbiamo definito spazio vuoto, spazio di libertà a nostra disposizione, che ci fa padroni di noi stessi, ci facilita e ci permette di entrare in sintonia con questa magnifica unione a distanza tra i sentimenti delle persone.
Ci permette di provare per essi benevolenza e compassione.
Quanto più siamo consapevoli dei nostri neuroni specchio, di cosa prova l’altro, di come ciò che prova è lo stesso che io provo, tanto più siamo sintonizzati con gli altri e tanto più le relazioni umane diventano armoniose.

2. EMPATIA E ALTRUISMO DIVENTARE ALTRUISTI APPLICANDO LE LEGGI DI ASSAGIOLI: la PSICOSINTESI

Oggi parleremo di un argomento molto importante: qual è la differenza fra l’empatia e l’amore altruistico?
Scopriremo che c’è molta differenza tra i due.
E che, per fortuna, se lo desideriamo possiamo allenarci all’amore altruistico mediante semplici esercizi!
E scopriremo anche perché, proprio per soffrire di meno davanti al dolore del mondo e delle persone ci conviene diventare più altruisti!
1) Abbiamo detto che l’empatia è una capacità intrinseca del cervello che ci permette di provare che cosa l’altra persona sta provando. Ci permette di “metterci nei suoi panni”

Due generi di empatia

Ci sono due generi di empatia. Abbiamo parlato dell’empatia primaria, la capacità immediata di percepire le emozioni altrui. Si tratta di sentire con gli altri, percepirne gli stati d’animo, percepire i segnali non verbali mossi dalle emozioni. L’empatia primaria di cui abbiamo finora parlato si accompagna all’attivazione delle parti più primitive del cervello, cioè il talamo e l’amigdala, mentre non si attiva la neocorteccia, la parte più evoluta del cervello legata alla ragione e alla riflessione.
Il secondo tipo di empatia, detto ATTENZIONE EMPATICA è invece proprio un’abilità cognitiva della neocorteccia, e in particolare dell’area prefrontale. Posso saper raccontare e raccontare a posteriori ciò che ritengo stesse pensando e provando la persona con cui ho avuto un’interazione verbale. Lo so raccontare perché non si è trattato solo di un fenomeno inconsapevole di risonananza, ma perché ero cosciente di quanto stava avvenendo.
Poiché ero presente, consapevole, sapevo e ricordo quali fossero i pensieri sentimenti e intenzioni dell’altra persona. Nel caso che io stia prestando attenzione a una persona che soffre, posso rispondere con altruismo o non dare affatto una risposta che va nella direzione di aiutare la persona che sento soffrire.

Empatia e altruismo, o compassione, sono forze diverse.

Nell’empatizzare, provo emozioni e sentimenti che vengono dall’altra persona, ma finché non do una risposta sono soltanto dentro di me. Posso non dare alcun riscontro, una risposta, un rispecchiamento alla persona di cui sento lo stato d’animo doloroso. Né ho fatto qualcosa per consolarla, per lenire la sua sofferenza, pur sentendo che la provava. Se dicessimo: chi è empatico è buono, chi non è empatico è cattivo, faremmo un’affermazione molto approssimativa. La mia eventuale indifferenza verso l’altro, la mia non risposta, è traumatica, è una ferita verso l’altro: “Come, hai capito la mia situazione penosa e difficile e ti lascia indifferente?”
Quando provo empatia, ho davanti a me due strade: posso provare una spinta di amore altruistico, provare compassione per la persone che soffre. La strada opposta, è provare un senso di disagio e di evitamento che mi porta solo a voler distogliermi dalle sofferenze di cui sono testimone e richiudermi in me stessa/o.
Abbiamo menzionato il motto di Assagioli: conosci, possiedi, trasforma te stesso. La trasformazione, in questo caso, è aprire il cuore all’altruismo, alla compassione, alla benevolenza. Se non ci sono queste qualità, fondamentali per la comunità umana, l’empatia non basta a migliorare le relazioni; le può anche peggiorare!
Ciò che fino a poco tempo fa non si sapeva, è che con facili esercizi possiamo trasformarci, e trasformare il nostro cervello in modo che le risposte altruistiche ci vengano più naturali e spontanee!
Sì perché le zone del cervello coinvolte nell’altruismo sono diverse da quelle coinvolte nell’empatia.
Quando la mia attenzione è consapevole del fatto che l’altro ha bisogno di qualcosa, è bellissimo essere uniti a chi ha bisogno di me, che io non sia arido e chiuso in me stesso, ma che altruisticamente io voglia aiutare, sostenere o consolare in qualche modo l’altro. Mettiamo che l’altro sia triste e abbia bisogno di un abbraccio che lo sostenga, che gli faccia sentire non è solo, che comprendo quello che prova.
Ecco: dobbiamo distinguere la differenza tra empatia, anche come attenzione empatica consapevole, e l’altruismo.
Anche se non è sempre vero, l’altruismo, la benevolenza, la gentilezza, la generosità potrebbero, dovrebbero essere la logica conseguenza della sintonia empatica con l’altro. Ma l’altruismo non è l’empatia; è qualcosa di più.
L’amore altruistico è l’intenzione di compiere il bene altrui, e si accompagna a una disponibilità costante, insieme alla determinazione di fare tutto il possibile per aiutare l’altro secondo i suoi bisogni.
L’amore altruistico assume la forma di compassione nel confrontarsi con le sofferenze altrui. È l’intenzione di rimediare ai problemi dell’altro, seguita dalla messa in opera degli strumenti necessari allo scopo. Dobbiamo soffermarci sull’amore altruistico, e su come svilupparlo in noi, perché l’empatia, senza l’amore altruistico, può risultare problematica!

Un esempio

Prendiamo come esempio una persona scarsamente benevola, che non è interessata al bene altrui. È prevalentemente egocentrica e si occupa solo del proprio vantaggio. Questa persona è molto empatica: capisce benissimo le emozioni e i sentimenti, i bisogni delle altre persone. E ne è consapevole (è capace, come abbiamo detto di Attenzione empatica). Chiamiamo A questa persona. Mettiamo che A abbia bisogno di ottenere qualcosa da un’altra persona, che chiameremo B; o che voglia farla soffrire. Grazie all’empatia, sa esattamente cosa dire o fare per ferirla…
Un altro caso: mettiamo che A abbia bisogno di qualcosa da B. Sa che chiedendolo apertamente, B rifiuterebbe.. Allora A, sempre grazie alle sue capacità empatiche, riesce a “manovrare”, a manipolare le motivazioni e i bisogni di B, finché ottiene da B esattamente quello che si era prefissato di ottenere.

I “Cattivi”, La “Triade Oscura”

Clinicamente, queste persone, capaci di ingannare l’altro proprio perché lo comprendono, sono detti “machiavellici”. Usano l’intelligenza per fini non buoni.
I tipi di caratteri che si possono a ragione definire “cattivi”, sono tre, detti anche la “Triade Oscura”.  Sono persone patologiche e da evitare. In ordine crescente di pericolosità abbiamo i Narcisisti, i Machiavellici, e gli Psicopatici. Tutti e tre i tipi sono dotati di empatia.

La compassione come antidoto al burnout

Occupandoci adesso di persone normali, ma che lavorano a contatto con il dolore altrui, come medici, psicologi, infermieri, assistenti sociali. Empatizzando con tanto dolore, possono giungere al burnout, uno sfinimento emotivo. Ed ecco una bella notizia: le ricerche condotte al Max-Planck-Institut di Lipsia hanno dimostrato che l’amore altruistico e la compassione verso chi vediamo soffrire, soffre agiscono come antidoto al burnout.

La compassione aumenta la forza d’animo, l’equilibrio interiore e la benevola determinazione nell’aiutare chi soffre. Per loro natura l’amore e la compassione non causano fatica né usura, ma anzi aiutano a superarlo

afferma il monaco scienziato Matthieu Ricard.
 

Si può allenare la nostra mente alla compassione e all’altruismo!

Gli esercizi usati per allenare all’altruismo al Max-Plank-Institute sono belli e ispiranti.
I praticanti sono invitati a entrare in contatto con emozioni come l’amore e la solitudine, e immaginare un cucciolo, un neonato o una persona vicina che ci vuole bene.
Oppure un luogo rassicurante e caloroso.
Poi ci si focalizza sulle sensazioni di calore che pervadono il nostro corpo. Dirigiamo questi sentimenti di calore verso noi stessi; poi riportiamo alla mente un nostro benefattore, e li rivolgiamo a lui; poi verso una persona cara, o persone per le quali non proviamo nulla.
L’obiettivo è quello di estendere questo sentimento di benevolenza in cerchi sempre più ampi, fino a raggiungere l’intera umanità!
In questi esercizi ripetiamo frasi di gentilezza amorevole: come “sii felice”, “sentiti bene e al sicuro”, “mantieniti in salute”.
Dopo tre mesi di questi esercizi, scannerizzando quelle aree del cervello preposte all’amore altruistico, scopriamo che queste esse sono diventano più attive!
Al Max-Plank Institut si fanno anche esercizi che allenano all’empatia: sono aree diverse da quelle attivate dagli esercizi di amore altruistico, che generano sentimenti positivi per gli altri!
Questi esperimenti scientifici confermano le leggi della Psicodinamica di Assagioli.
Assagioli, come si sa (le troviamo pubblicate nel suo volume L’Atto di Volontà), ha composto dieci leggi di Psicodinamica.
Leggiamo qui la prima di queste leggi:

Prima legge: Le immagini o figure mentali e le idee tendono a produrre le condizioni fisiche e gli atti esterni ad esse corrispondenti.

Ripetendo dentro di noi pensieri e sentimenti di benevolenza, ci verrà spontaneo compiere atti di cura e aiuto per gli altri, corrispondenti a quanto abbiamo pensato e sentito.
La quinta legge è simile.—

Quinta legge: I bisogni, gli istinti, gli impulsi e i desideri tendono a produrre le immagini, le idee e le emozioni corrispondenti. Immagini ed idee, a loro volta (secondo la prima legge) suggeriscono le azioni corrispondenti.

Quindi, se vogliano diventare persone altruistiche, abbiamo qui il segreto per diventarlo. Un segreto semplice, e scientificamente dimostrato dalle neuroscienze.
Dopo una scoperta davvero strabiliante, un famoso fisco che studiava i quanti affermò:

Se non siete sbalorditi dalla fisica quantistica è perché non l’avete capita!

Credo che possiamo ripetere questa frase anche per il funzionamento dell’essere umano nel suo insieme. Mentre si progredisce nello studio del cervello, e della correlazione pensiero-comportamento-cervello, se non vi stupite vuole dire che non le avete capite!
Volete sentirne una bella? Nell’università del Wisconsin la psicologa Helen Weng ha mostrato che dopo due settimane di addestramento alla compassione attraverso la meditazione, chi si era allenato a questo sentimento aveva acquisito stati mentali stabili. Si era anche in grado di prevedere il grado di probabilità con cui in alcuni comportamenti altruistici si sarebbero presentati. Questi comportamenti erano addirittura donazioni compiute verso terzi.
Possiamo considerare il dono in denaro una forte prova dell’atteggiamento altruistico, sapendo quanto l’attaccamento al denaro e alla ricchezza sia forte nella società di oggi.
Sempre al Max-Plamck-Institut di Lipsia, hanno mostrato che un breve allenamento alla compassione attraverso la meditazione rendeva i partecipanti a un videogioco più inclini a aiutare un altro giocatore, senza trarre vantaggio da questo gesto, che, anzi, finiva per ridurre la loro prestazione personale.

La preghiera di Metta

Nei ritiri di meditazione spesso si è invitati a recitare la preghiera detta Metta.
Metta significa Gentilezza amorevole nell’antica lingua pali, quella che si parlava ai tempi del principe Siddartha Gautama detto il Buddha, l’illuminato, colui che è andato oltre l’umano o, se vogliamo, che ha portato al perfetto compimento le possibilità della mente umana.
I semplici versi di Metta ci allenano all’altruismo. E la prima persona a cui ci è raccomandato di rivolgerli, siamo proprio noi stessi!
Qui possiamo osservare che oltre ad amare noi stessi così come siamo, un meraviglioso organismo psico biologico, portentoso dalla punta dei capelli alla punta dei piedi, può avvenire che alcune parti di noi, o subpersonalità non le amiamo affatto. Abbiamo barriere interne impermeabili al nostro stesso amore! Non significa che subpersonalità non positive non vadano trasformate: solo che nulla si trasforma opponendovisi bensì solo accettando e, amorevolmente, trasformando. Sicuramente le parti di noi che sono state ferite, offese, ignorate, ci creano nell’inconscio un guazzabuglio di sentimenti penosi e difficili da trattare.
Ricorriamo a Metta: appena emerge in noi un ricordo odioso, detestabile di ci vergogniamo, che vorremmo non fosse mai successo: inondiamolo di

Che tu possa essere in pace. Al sicuro, felice nel corpo e nella mente.

Tu, chi è questo tu? Ma sei tu, naturalmente. Tu stesso, degno di tutto l’amore del mondo qualsiasi cosa ti sia accaduta.
Ecco dunque una forma semplice della meditazione di Metta, o Gentilezza Amorevole:

Che io possa essere felice, sereno e in pace nel corpo e nella mente. Che io possa essere libero dal pericolo. Che io possa godere dei beni e delle relazioni necessarie.

Poi reciteremo, pensando a una persona amata:

Che tu possa essere felice, sereno e in pace nel corpo e nella mente. Che tu possa essere libero dal pericolo. Che tu possa godere dei beni e delle relazioni necessarie.

Continuiamo facendo questi benevoli auguri a una persona che non amiamo; concludiamo la preghiera con l’augurio:

Possano tute le creature essere felici, serene e in pace, nel corpo e nella mente. Come vedete, è meravigliosamente semplice.

Talvolta per strada incontro qualcuno molto malconcio per il quale non posso far niente. Non è vero: posso recitare Metta per lui/lei. I notiziari ci propinano senza alcun riguardo notizie di uomini o animali colpiti da orrori. Non possiamo fare niente? Spesso in qualche modo un piccolo intervento è possibile, firmare contro, fare una piccola offerta… E, se abbiamo lo spirito dell’altruismo, possiamo subito dire una preghiera di Metta per lenire il loro dolore. E il nostro per loro, con loro.

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