LA TRISTEZZA

La TRISTEZZA è legata non solo alla perdita di una persona cara, o di un oggetto. È legata anche alla perdita di un ruolo, o di uno status.

Può essere legata a una vera e propria sconfitta in una situazione agonistica.

Gli etologi riconoscono negli animali un Ritual Agonistic Behaviour, cioè un insieme di comportamenti che regolano i conflitti tra gli individui della stessa specie. La posta in gioco del combattimento è innalzare o mantenere il proprio ruolo, e mai la distruzione dell’altro.

L’espressione della tristezza sarebbe una delle componenti del conflitto rituale: quando uno si trova in svantaggio, dà segnali rituali di sottomissione (yielding subroutine). Abbassa la testa, si fa piccolo piccolo, e assume un atteggiamento umile. Il proprio status non si è innalzato o si è addirittura retrocessi.

Al contrario, nella winning subroutine si alza la testa, si assume un atteggiamento fiero, uno sguardo di disprezzo. Si è conservato o innalzato il proprio status.

Tra gli esseri umani, mentre la tristezza è un naturale recupero dopo una perdita o un fallimento, possiamo considerare le persone poco assertive, che non tendono a realizzarsi, o addirittura depresse, anche come persone in cui è stabilizzata la routine di sottomissione, che li fa vivere in un costante stato di perdita, anche in assenza di un conflitto con il mondo esterno.

ANTIDOTI ALLA TRISTEZZA

ANTIDOTI ALLA TRISTEZZA possono essere:

  • diminuire l’importanza che si dà a ciò che non abbiamo, e aumentare l’importanza di ciò che abbiamo;
  • sentire che esistiamo, e soffermarsi spesso sulla certezza: “lo esisto”
  • vivere con distacco la nostra tristezza, come se fossimo attori che stanno impersonando un ruolo triste .

Molte persone hanno ricevuto dei traumi, delle ferite nell’infanzia, nell’adolescenza, o addirittura nel primo anno di vita, conservano il ricordo inconscio o semi-conscio della risposta di disprezzo, di umiliazione, di indifferenza che hanno ricevuto quando invece si rivolgevano alla madre o al caregiver sorridenti e pieni di affetto.

Questo tipo di risposta umiliante può capitare anche tra adulti. Anche se l’interazione tra i due adulti non era una lotta, il risultato è comunque una sconfitta: non ho ricevuto simpatia, o empatia, o comprensione dall’altro.

Osservando i bambini molto piccoli, nella carrozzina, si vede perfettamente dal linguaggio corporeo quando il bambino viene umiliato. Il bambino ridente e gioioso che si era rivolto all’adulto, e davanti all’indifferenza del grande il sorriso gradualmente si spegne, il bambino raccoglie e tiene ferme le manine e i piedini, si raccoglie in silenzio, sembra che voglia rimpicciolirsi.

È una immagine compatibile con il sentimento di vergogna – voler sparire.

Vi sono capitate, da adulti, delle interazioni in cui vi siete sentiti “sconfitti”, non considerati? Come si sentiva il vostro corpo?

La tristezza, dal dispiacere alla disperazione al fastidio per tutte le cose, è uno stato pericoloso, perché ci fa trascurare ciò che c’è, ciò che esiste, ciò che ci può dare gioia, per prima cosa noi stessi.

Come nel caso del bambino traumatizzato, alla cui gioia non viene risposto con gioia, così la tristezza nell’adulto può essere stata causata dalle persone che ci circondano. Siamo in un’epoca in cui molte persone si caricano di difficoltà e preoccupazione, rese spesso necessarie dalle pretese che la società ha per i suoi membri.

La competitività, il bisogno di avere, il bisogno di mostrare fanno diventare la vita di molti come una corsa di cavalli: chi avrà di più? Dove la gioia fatica a prosperare e dove la fatica di non “Essere” abbastanza coltiva la tristezza.

Potremmo:

  1. proporci di non frequentare persone competitive o avide – l’avido non ne ha mai abbastanza, come può non essere affaccendato con la tristezza?
  2. Frequentate persone soddisfatte di ciò che hanno, capaci di ridere e farvi ridere?

Secondo Filone, uno degli antichi Padri della Chiesa,

“L’aspetto esteriore della sapienza non è scuro e austero, teso dalla riflessione e dalla tristezza, ma al contrario gaio e sereno, pieno di allegria e gioia…”

Secondo il sapientissimo Mosé,

“il fine della saggezza è ridere.”

Attualmente, nei paesi occidentali, la depressione, che è una forma più marcata di tristezza, è in aumento, e lo stesso è vero per le prescrizioni di farmaci antidepressivi . È evidente che sono le condizioni sociali, le circostanze della nostra vita a generare tristezza.

Spesso le persone tristi o depresse vengono colpevolizzate. Non è colpa nostra avere una vita difficile ed essere circondati da persone difficili più di quanto abbiamo la colpa di aver preso il raffreddore o slogato qualche articolazione.

Possiamo imparare a gestire le emozioni – consultate gli “ANTIDOTI ALLA TRISTEZZA” qui sopra, chi ha un’emozione forte come la tristezza che porta alla depressione non è più colpevole di chi si è rotto un braccio.

Siete soliti prendere in giro o colpevolizzare chi ha dei disagi psicologici? Non fatelo.

LA TRISTEZZA (e la depressione)

La funzione evolutiva della tristezza è quella di incitarci all’immobilità e al rallentamento

Quando siamo feriti, o colpiti da un lutto, serve per ricostituirci o riparare il lutto

La tristezza è legata non solo alla perdita di una persona cara, o di un oggetto a cui tenevamo. E legata anche alla perdita di un ruolo, o di uno status.

In seguito a fallimenti  proviamo il lutto della propria immagine, dei propri ideali. In seguito a malattia, abbiamo il lutto della propria salute.

Nella vita c’è una successione di perdite per quello che amiamo.

Ma c’è la tristezza per ciò che non abbiamo avuto e che pure aspettiamo.

Ha la funzione di farci adeguare a una perdita significativa, come una grande delusione, o la morte di qualcuno che ci era vicino. Si ha una caduta di energia e entusiasmo nei confronti delle attività della vita. Ci si chiude in se stessi. Questo calo di energia può essere d’aiuto nel ritirarsi e inserire le conseguenze di un lutto nella propria vita.

IL RITUAL AGONISTIC BEHAVIOUR

Quando la tristezza diventa più profonda, ha l’effetto di rallentare il metabolismo.

In una situazione agonistica può essere legata a una vera e propria sconfitta.

Gli etologi riconoscono negli animali un Ritual Agonistic Behaviour, cioè un insieme di comportamenti che regolano i conflitti tra gli individui della stessa specie. A differenza dall’uomo, la posta in gioco del combattimento è innalzare o mantenere il proprio ruolo, e mai la distruzione dell’altro.

L’espressone della tristezza, nel conflitto rituale sarebbe la cosidetta “yielding routine”: quando uno si trova in svantaggio dà segnali rituali di sottomissione: abbassa la testa, si fa piccolo piccolo, assume un atteggiamento umile. IL proprio status non si è  innalzato o è addirittura retrocesso.

Al contrario nella winning ruotine l’animale alza la testa, assume un atteggiamento fiero, uno sguardo di disprezzo. Il proprio status si è conservato o innalzato,

Tra gli esseri umani la tristezza è un naturale recupero dopo una perdita o un fallimento. Ma esistono anche persone poco assertive, che non tendono a realizzarsi, o addirittura depresse. Esistono anche persone che si sono stabilizzate nella routine di sottomissione, che vivono in un costante stato di perdita, pur in assenza con un conflitto con il mondo esterno.

A parte le situazioni conflittuali, la funzione evolutiva della tristezza è quella di incitarci all’immobilità e al rallentamento, per ricostituirci quando siamo feriti o in lutto.

Ciò che dà il via all’istinto della tristezza è il dolore  per la perdita di persone, status, legami.

Possiamo soffrire per il lutto della nostra immagine di sé, per i nostri ideali. In seguito a una malattia, soffriamo in lutto per la nostra salute.

Depressione

Proviamo a dominare tristezza e depressione incrementando l’EMPATIA, LA SOLIDARIETA’ E LA COMPASSIONE

La tristezza però può virare verso la depressione. Per esempio si comincia rimuginare sulla propria –presunta- inadeguatezza; le difficoltà e i fallimenti; i confronti con gli altri. Dalla tristezza, rischiamo la depressione, più stabile e fissa della tristezza, che è un’emozione e come tale mutevole.

Il maggiore fattore di rischio per la depressione non è tanto le avversità, N è  un fatto, come il divorzio o la disoccupazione, quanto gli stati d’animo legati a  condizioni di vita disagevole e precaria: i grattacapi quotidiani ; umiliazioni, impotenza, decadimento dovuto a situazioni bloccate e senza soluzione.

Ciò non significa che non vi sia cura alla Depressione, anche se essa  è aumentata esponenzialmente dagli anni ’60 a oggi.

Cos’ come le occasioni che ci fanno incollerire sono tante, nella vita c’è una successione di perdite di quello che amiamo. Non solo c’è anche la tristezza per ciò che abbiamo aspettato e aspettiamo e ancora non abbiamo avuto.

La tristezza non è solo un dolore dell’anima, è anche una condizione del corpo: abbiamo il cuore pesante, sospiriamo, siamo tentati dall’immobilità, dalla lentezza, dal ripiegamento.

In quanto perdita dello slancio vitale, ci distoglie dall’azione.

Mentre la tristezza può essere connessa col presente, come nella noia, cioè la mancanza di stimoli, incontri, cambiamenti; se viviamo nel passato o nel futuro anziché nel qui e ora, altre emozioni si aggiungono alla tristezza presente: come nostalgia per il passato, rimpianti, rimorso, senso di colpa.

Per il futuro, potremmo perderci nella perdita di speranza, nello scoramento; sentirsi pessimisti, credere nell’inutilità di sforzi futuro.

Così come la corteccia frontale può controllare la collera, così l’intelligenza emotiva può disinvischiarsi dal negativo della tristezza, almeno quando le perdite non sono state ingenti.

Accettare i grattacapi, provare empatia, solidarietà e compassione per se stessi (e gli altri). Sforzarsi di vedere quanto di positivo c’è nella realtà, e accettare di vedere quanto c’è di non positivo: perché purtroppo è vero che la vita ha le sue difficolta, il mondo non è tanto accogliente, la felicità non è tanto facile da raggiungere. E queste sono verità che conviene accettare per mettere una diga intelligente alla tristezza.   

Antidoti alla tristezza possono essere:

– diminuire l’importanza che si dà a ciò che non abbiamo, e aumentare l’importanza di ciò che abbiamo

-Sentire che esistiamo, e soffermarsi spesso sulla certezza “Io   esisto”

– vivere con distacco la nostra tristezza, come se fossimo attori che stanno impersonando un ruolo triste.

Possiamo cercare di far intervenire una  forza creativa, il coraggio di agire cercando di cambiare il mondo:può agire che realizziamo in parte il desiderio che la vita sia bella, il mondo accogliente; e che la felicità si possa ottenere…

La tristezza può anche essere connessa con il passato: nostalgie, rimpianti, rimorsi, sensi di colpa;

e con il futuro: scoramento, perdita di speranza.

Tra passato e futuro: sentirsi disillusi nella speranza e nella fiducia

Nel pessimismo, sentiamo l’inutilità di sforzi futuri.

Nella tristezza applichiamo talvolta il presente al futuro: trasferiamo nel futuro la situazione presente.